Il Movimento di Oxford è una tappa importante nell’evoluzione della Chiesa Anglicana e introduce novità importanti. I delegati della Conferenza mondiale su Chiesa, Comunità e Stato riuniti ad Oxford dal 12 al 26 luglio 1937 alla chiusura delle loro deliberazioni inviano il seguente messaggio alle Chiese di Cristo nel mondo:

In nome di Cristo, saluti.
Ci incontriamo in un tempo in cui l’umanità è oppressa da incertezza e paura.
Le persone sono gravate dal male pressoché insopportabile e da problemi apparentemente insolubili.
Anche in Paesi che sono in pace la disoccupazione e la malnutrizione logorano la forza del corpo, la mente e lo spirito.
In altri Paesi la guerra fa il suo dannato lavoro (devil’s work) e minaccia di soverchiarci nella sua catastrofe senza limiti.
Eppure non assumiamo il nostro compito come cittadini sconcertati per i comportamenti delle nostre diverse nazioni chiedendo se da qualche parte c’è la chiave dei nostri problemi; lo assumiamo come cristiani a cui è affidata ‘la parola di
riconciliazione’ che ‘ Dio in Cristo ha riconciliato il mondo in se stesso’.
Il primo dovere della chiesa e il suo più grande servizio al mondo, è di essere nei fatti (in very deed) la chiesa – confessando la vera fede, impegnandosi nel compimento della volontà di Cristo, suo solo Signore e unita a lui in una comunione (fellowship) di amore e servizio.
Non chiediamo al mondo di essere come noi stessi in quanto siamo già troppo simili al mondo.
Solo allorquando ci pentiamo come individui e corpi istituzionali (corporate bodies) la chiesa può chiamare le persone a
pentirsi. La chiamata a noi stessi e al mondo è a Cristo.
Nonostante la infedeltà Dio ha fatto grandi cose attraverso la sua chiesa.
Una delle più grandi è che qui esiste una comunione mondiale, nonostante la tragedia della nostra divisione e della nostra
inabilità su molti temi di parlare con una unica voce. La nostra unità in Cristo non è una aspirazione, ma una esperienza di fatto. Possiamo parlare di essa con forza (boldness) perché la nostra conferenza lo dimostra. Siamo stati richiamati da molte nazioni e da comunioni molto differenti, da chiese con secoli di storia alle spalle e da chiese più giovani la cui storia copre pochi decenni. Ma siamo uno in Cristo. L’unità di questa comunione non è costruita dalle sue parti costituenti, come una federazione di differenti stati. Essa è resa possibile dalla sovranità e dall’atto di redenzione del suo solo Signore.
La fonte dell’unità non è data dal consenso, dal movimento di volontà umane; è Gesù Cristo la cui sola vita fluisce attraverso il corpo e assoggetta le molte volontà a sé. Il cristiano vede la distinzione di razza come parte dello scopo di Dio di arricchire l’umanità con una diversità di doni. Contro l’orgoglio o l’antagonismo razziale la chiesa può mettere la faccia implacabilmente denunciandolo come ribellione contro Dio. Specialmente nella sua vita e nel suo culto non ci può essere posto per barriere di razza o colore. Similarmente il cristiano accetta la comunità nazionale come parte dello scopo di Dio di arricchire e diversificare la vita umana. Ogni persona è chiamata da Dio a servire il prossimo nella comunità a cui appartiene. Ma l’egotismo nazionale tendente alla soppressione di altre nazionalità o minoranze è, non meno dell’egotismo individuale, un peccato contro il Creatore di tutti i popoli e le razze. La deificazione della nazione, razza o classe o di ideali politici o culturali è idolatria e può portare solo a crescenti divisioni e disastri.
Da ogni parte vediamo persone che cercano una vita di comunione in cui sperimentano la loro dipendenza reciproca.
Ma poiché la comunità è vista da presupposti sbagliati, la intensa ricerca porta a conflitti e disintegrazione. In tal mondo la
chiesa è chiamata a ad essere nella sua propria vita quella comunione che lega insieme le persone nella comune dipendenza da Dio e a superare tutte le barriere di stato sociale, razza o nazionalità. In consonanza con la sua natura di vera comunità chiamerà le nazioni a regolare (order) la propria vita come membri dell’unica famiglia di Dio. La chiesa universale esaminando le nazioni del mondo in cui è situata e radicata deve pronunciare una condanna della guerra incondizionata e senza restrizioni. La guerra non può che essere (occur) un frutto e una manifestazione di peccato. La verità non è toccata da questioni su cosa può essere il dovere di una nazione che deve scegliere tra entrare in guerra o un percorso (course) che considera un tradimento del diritto o quale deve essere il dovere di un cittadino cristiano il cui Paese è coinvolto in una guerra.
La condanna della guerra rimane (stand) e anche l’obbligo di cercare i modi per liberare l’umanità dalle proprie devastazioni fisiche, morali e spirituali. Se la guerra scoppia la chiesa deve principalmente in modo manifesto essere chiesa, ancora unita come un corpo di Cristo anche se le nazioni in cui essa si trova combattono tra di loro offrendo consapevolmente le stesse preghiere: che il nome di Dio può essere santificato, il suo regno viene e la sua volontà è fatta in entrambe o tutte le nazioni in guerra. A tutti i costi la comunione di preghiera non deve essere rotta. La chiesa deve anche tenere insieme in una comunione spirituale coloro tra i suoi membri che hanno diverse visioni riguardo al dovere come cittadino cristiano in tempo di guerra.
La condanna della guerra non è sufficiente. Molte situazioni nascondono il conflitto sotto la maschera della pace esteriore.
I cristiani devono fare tutto ciò che è in loro potere per promuovere tra le nazioni giustizia e cooperazione pacifica, e i mezzi di aggiustamento pacifico delle condizioni alterate.
Specialmente nei Paesi più fortunati, i cristiani dovrebbero chiedere giustizia in modo pressante per conto dei meno fortunati. La insistenza sulla giustizia deve esprimersi in una domanda di mitigazione della sovranità degli stati nazionali in quanto ciò implica l’abbandono da parte di ciascuno della pretesa di essere giudice della propria causa.
Riconosciamo lo Stato come la massima autorità nella sua sfera. Esso ha lo scopo dato da Dio di stabilire in quella sfera la legge e l’ordine e di amministrare la vita del suo popolo. Ma poiché ogni autorità è da Dio, lo Stato sta sotto il suo giudizio. Dio stesso è la fonte della giustizia di cui lo Stato non è signore ma servitore.
Il cristiano può riconoscere l’autorità non ultimativa rispetto a Dio; la sua lealtà allo Stato è parte della lealtà a Dio e non deve mai usurpare il posto di colui a cui si deve primaria e assoluta lealtà.
La chiesa ha dei doveri posti su di essa da Dio che deve attuare (perform) a tutti i costi tra cui in testa è proclamare la parola di Dio e fare discepoli e poi ordinare la propria vita con il potere dello Spirito che abita in essa.
Poiché questo è il suo dovere questo deve fare a prescindere se lo Stato acconsente o meno; e lo Stato per parte sua dovrebbe riconoscere questo dovere e assicurare piena libertà di azioni. La chiesa può reclamare tale libertà per sé solo se riguarda anche i diritti e le libertà di altri.
Nella sfera economica il primo dovere della chiesa è di insistere che la attività economica come ogni altro dipartimento della vita umana stia sotto il giudizio di Cristo. L’esistenza delle classi economiche presenta una barriera alla comunione umana che non può essere tollerata dalla coscienza cristiana.
Sono indifendibili le ineguaglianze di opportunità riguardo alla educazione, il tempo libero e la salute che continuano a
prevalere. L’ordinamento della vita economica ha avuto la tendenza a migliorare la capacità di acquisto (acquisitiviness) e ad impostare un falso standard di successo economico e sociale.
Il fatto che vi siano forme di occupazione aperte a donne e uomini o che qualcuno ne venga escluso impedisce di trovare un senso alla vocazione cristiana nella loro vita quotidiana.
Noi stiamo osservando nuovi movimenti nati in contrasto con questi mali che uniscono alla loro lotta per la giustizia sociale il ripudio di tutte le fedi religiose. Consapevole della realtà del peccato la chiesa sa che nessun cambiamento nell’ordine esteriore della vita può di per sé sradicare il male sociale. La chiesa quindi non può arrendersi alle aspettative utopiche di questi movimenti e deve rigettare inequivocabilmente il loro essere senza Dio, ma nel fare ciò deve riconoscere che i cristiani nella loro cecità verso le sfide del male dell’ordine economico sono stati in parte responsabili del carattere anti religioso di questi movimenti.
I cristiani hanno un doppio dovere – di portare la testimonianza della loro fede all’interno dell’ordine economico esistente e di verificare (test) le istituzioni economiche alla luce della loro comprensione della volontà di Dio.
Le forze del male con cui i cristiani devono contendere sono fondate non solo nel cuore delle persone come individui, ma sono entrate e hanno infettato le strutture della società e là devono essere combattute.
La responsabilità della chiesa è insistere sulla vera relazione tra beni spirituali e economici. L’uomo non può vivere senza pane, l’uomo non può vivere di solo pane.
La nostra ricchezza umana consiste nella comunione di Dio e in lui con i nostri fratelli. A questa comunione l’intero ordine
economico deve essere sottomesso. Le questioni che hanno maggiormente attirato l’attenzione della conferenza sono quelle che possono essere affrontate in pratica solo dai laici.
Coloro che hanno la responsabilità ogni giorno della condotta della industria, l’amministrazione e la vita pubblica devono
scoprire qual è la decisione giusta in una infinita varietà di situazioni concrete. Se devono ricevere aiuto nella necessità di
prendere responsabilmente decisioni come cristiani, nuovi tipi di ministeri dovranno essere sviluppati nella chiesa.
La realizzazione del compito a cui la chiesa è chiamata oggi si trova largamente nelle mani dei giovani.
Molte voci forti invitano i giovani a darsi degli ideali politici e sociali ed è spesso duro per loro ascoltare la voce di Gesù Cristo che li chiama ad essere servitori del regno eterno. Eppure molti delle generazioni più giovani, spesso nonostante il ridicolo o talvolta la persecuzione, si rivolgono a lui e individualmente o come movimenti cristiani giovanili si dedicano al rinnovamento della vita delle chiese e a far conosce la buona novella di Cristo in parole e azioni. Siamo felici della loro coraggiosa testimonianza.
Nella educazione dei giovani la chiesa ha un doppio compito. Essere desiderosa di assicurare ad ogni cittadino la massima opportunità possibile di sviluppare i doni che Dio gli ha conferito e condannare la diseguaglianza di opportunità educative come il principale ostacolo alla pienezza della comunione di vita della comunità.
La chiesa ha anche una speciale responsabilità di realizzare la propria comprensione del senso e del fine della educazione nella relazione con Dio della vita.
La chiesa deve reclamare la libertà di dare una educazione cristiana ai suoi figli. È nel campo della educazione che in molte parti del mondo è molto acuto il conflitto tra la fede cristiana e la concezione non cristiana dei fini della vita, tra la chiesa e una comunità che abbraccia tuta la vita e reclama di essere la fonte e l’obiettivo di ogni attività umana. In questo conflitto tutto è in gioco e la chiesa deve attrezzarsi (gird) per la lotta.
Se guardiamo al futuro è nostra speranza e preghiera che lo Spirito di Dio possa far sorgere nuova vita spontaneamente in una moltitudine di luoghi differenti e che ci possano essere un gran numero di ‘cellule’ di cristiani, uomini e donne, associati in piccoli gruppi per la scoperta di nuovi modi di servire Dio e il prossimo.
Abbiamo sentito profondamente l’assenza nella nostra comunione delle chiese che non sono state rappresentate nella conferenza. Il nostro cuore è pieno di angoscia quando ricordiamo la sofferenza della chiesa in Russia. La nostra simpatia e
gratitudine va alle chiese sorelle in Germania. Siamo mossi dalla più viva fiducia per la loro salda testimonianza a Cristo e
preghiamo di poter ricevere la grazia di portare la stessa chiara testimonianza al Signore.
Abbiamo molto da essere incoraggiati dalla Conferenza a Stoccolma, 12 anni fa* ad oggi. Il senso della unità della chiesa nel mondo cresce più forte ogni anno. Crediamo che questa causa sarà più pienamente servita dal Consiglio ecumenico delle chiese, proposta considerata dalla conferenza e raccomandata alle chiese.
Abbiamo cercato in questi giorni a Oxford di guardare senza illusioni al caos e alla disintegrazione del mondo, all’ingiustizia dell’ordine sociale e alla minaccia e l’orrore della guerra. Il mondo è ansioso e sconcertato e pieno di dolore e paura. Noi siamo turbati, ma non ancora disperati.
La nostra speranza è ancorata nel Dio vivente. La vita anche di fronte a tutti questi mali ha un significato in Cristo e nella unione che egli crea della umanità con Dio e tra di essa.
Nel suo nome mettiamo le nostre mani al servizio di Dio e in lui gli uni degli altri per il compito di proclamare il messaggio di Dio di redenzione, di vivere come suoi figli e di combattere la ingiustizia, la crudeltà e l’odio.
La chiesa può avere speranza (good cheer) perché ascolta il suo Signore dire ‘ho vinto il mondo’.

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