Nel medioevo nasce la figura del cavaliere cioè un esperto combattente a cavallo, protetto da una pesante armatura e dotato di armi micidiali quali la pesante lancia e la spada lunga.

Ai cavalieri viene lasciato l’onere dei combattimenti perché, come i carri armati delle guerre mondiali, sono micidiali e potenti.

Un cavaliere può essere contrastato efficacemente solo da un altro cavaliere o da un manipolo molto numeroso di armati con picche e frecce ma i cavalieri, pur costituendo la spina dorsale degli eserciti sono in realtà pochi perché acquisire e mantenere un cavallo e l’equipaggiamento necessario aveva un costo elevatissimo in pratica riservato ai soli nobili.

I cavalli dotati di zoccoli ferrati e le selle stabili e corredate di solide staffe consentono ai cavalieri di dotarsi di armature molto efficaci ma anche decisamente pesanti e complesse.

L’investimento necessario per armare un cavaliere viene stimato nell’equivalente di 20 buoi. I buoi sono molto più preziosi e costosi delle vacche e rappresentano un valore enorme per l’epoca. Secondo alcuni esperti il cavallo e l’attrezzatura di un solo cavaliere equivaleva al costo di una tenuta terriera medio alta.

Il cavaliere dominante letteralmente con il suo valore bellico ogni esercito la cui potenza nel medioevo viene calcolata sulla base del numero di cavalieri di cui può disporre.

Nasce intorno all’anno mille la contrapposizione fra la figura del cavaliere pesantemente corazzato e armato e il cittadino-contadino completamente inerme perché non dispone di armi adeguate e della capacità di usarle.

Le esigenze di sicurezza comune si indirizzano verso mitiche figure di cavalieri solitari erranti che compongono le controversie, difendono i deboli e correggono i torti.

I signori feudali indirizzavano i propri figli secondogeniti alla carriera delle armi per mantenere l’ordine e difendere il Casato e i propri sudditi.

Sono rarissimi i non nobili o figli di cavalieri che riescono a diventare cavalieri senza ricevere o ereditare il cavallo e l’attrezzatura necessaria.

Tutti sostengono un lungo tirocinio e quando il candidato viene giudicato pronto diviene cavaliere nel corso di una solenne cerimonia che dal X° secolo diviene un rito liturgico quando la Chiesa si riconosce nel cavalierato che diviene monastico.

Il nuovo cavaliere, attraverso un solenne cerimoniale d’investitura, si impegna a rispettare il Codice cavalleresco, cioè l’insieme di regole da seguire sempre. Durante la cerimonia viene aiutato ad indossare l’armatura, riceve la spada e anche uno schiaffo che dovrà essere l’ultima offesa alla quale non reagirà con tutta la sua forza e le sue armi.

Il cavaliere viene trasformato in un fenomeno sociale per amministrare giustizia e portare sicurezza ovunque perché può agire anche isolato e lontano dal castello del suo Signore.

Il perfetto cavaliere doveva sempre mostrarsi coraggioso ed impavido, combattere per cause giuste ed onorevoli, difendere i deboli e gli oppressi, mostrarsi generoso con i poveri, proteggere le donne e combattere gli infedeli per riconquistare il Santo Sepolcro nelle Crociate.

Dal XII° secolo la letteratura contribuisce ad idealizzare lo stereotipo del cavaliere puro di cuore e di intenti.

Alla fine la creazione delle milizie e nuove armi come la balestra, micidiale ma semplice da utilizzare, in grado di lanciare piccoli dardi con forza sufficiente a perforare le armature dei cavalieri insieme all’utilizzo innovativo delle picche lunghe contro le cariche dei cavalieri li ridimensiona come strumento bellico togliendogli progressivamente importanza. È la fine dei cavalieri come arma decisiva ma la cavalleria sopravvive come idea nel Codice e nello spirito.

Il cavaliere risolve spesso le proprie dispute in duello e questa consuetudine, nata in Italia ed esportata successivamente in altri Paesi (Inghilterra, Francia, ecc.) sarà dura a morire.

Il 24 aprile 1987 la Corte di Cassazione dimostra di occuparsi ancora dei duelli quando la sua V° sezione sentenzia che: «Non può essere equiparato a un duello una colluttazione senza armi, svincolata da qualsiasi regola, condotta senza esclusione di colpi e in modo selvaggio e bestiale. Infatti, i reati cosiddetti di duello presuppongono l’osservanza delle consuetudini cavalleresche e, pertanto, perché uno scontro tra due persone possa considerarsi duello, deve svolgersi a condizioni prestabilite, secondo le regole cavalleresche, mediante l’uso di armi determinate (spada, sciabola o pistola), alla presenza di più persone (padrini o secondi), per una riparazione d’onore.»

Finalmente nel 1999 i reati cavallereschi, cioè il duello la sfida, ecc., sono stati eliminati dal Codice Penale perché prevedevano pene estremamente lievi per  tutelare l’ordinamento cavalleresco piuttosto che la vita umana.

I duelli, come i delitti d’onore, appartengono ormai definitivamente al passato e non sono più previsti neppure dal Codice cavalleresco che impone altri, più moderni e pacifici sistemi per la risoluzione delle controversie.

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